Articolo di Massimiliano Parente per il Giornale di martedì 1 marzo 2016
A tutti sarà capitato di avere un’amante che durante il sesso non si muove e resta lì come una salma, tipo Belén nel famoso sextape che a tutti sarà capitato di vedere pensando di vedere chissà cosa.
Tuttavia in Giappone è una ricercatezza sessuale, si chiamano donne maguro, e maguro significa tonno, cioè ferma come un tonno (morto o in scatola, immagino, perché provate a fare sesso con un tonno vivo). L’ho scoperto leggendo “Doromizu”, uno splendido romanzo sul Giappone di Mario Vattani, molto più bello dei romanzi dei giapponesi, di solito di un descrittivismo mortale, peggio ci sono solo i romanzi cinesi.
Vattani non è uno qualsiasi, né uno degli scrittorini italiani che stanno sempre a raccontarti una storiella di impegno civile in Puglia, in Sicilia o a Napoli: ha cominciato una carriera diplomatica a ventitré anni, è stato console generale a Kyoto e Osaka, ha scritto per i giornali italiani i migliori reportage sulla cultura orientale, e è cintura nera di Kendo. Non a caso lo ha pubblicato per Mondadori un intellettuale come Antonio Franchini (prima di andarsene a Giunti), che è cintura nera di Judo e Jujutsu.
Questo suo libro, per capirci, è la versione italiana di “Tokyo Decadence” del Ryu Murakami, che non è Haruki Murakami (quello dell’interminabile “1Q84”), né Murasaki Shikibu, che invece è una scrittrice dell’anno mille, un classico giapponese tanto adorato dagli amanti della letteratura orientale, io mi ci sono addormentato sopra più volte, funziona più del Tavor e degli editoriali di Scalfari.
Invece Vattani ti trascina con dolcezza giù nelle acque torbide di Tokyo (questo il significato della parola dorumizu), dove il protagonista e voce narrante, il venticinquenne Alex Merisi, si trova per passione e per studio, e dove una notte finirà per mettersi nei guai in seguito alla morte di un occasionale compagno in una soapland, uno dei tanti centri di piacere sparsi per il Giappone in cui essere coccolati, insaponati e poi altro, a piacere appunto. Basta pagare. È un libro notturno che avanza come un fiume lento tenendoti in tensione, con Alex e il suo amico Tom che si muovono da un quartiere all’altro non sapendo cosa fare, essendosi appropriati della notevole somma di denaro del ricco conoscente morto. È una fuga senza desiderio di fuga, la paura è anestetizzata, le acque torbide incantano e ti trascinano da un posto all’altro, un tatuatore diventa un maestro di vita, oppure ci si ritrova a scappare in un 747, non un aereo vero ma un locale a forma di aereo nel quale sembra di volare davvero mentre delle hostess ti massaggiano e al posto del tè ti servono sesso orale (poi anche il tè, credo).
Il Giappone è fantastico per questo: è incredibilmente moderno e fantasticamente morboso, è l’avanguardia delle perversioni più inimmaginabili, ci sono negozi che vendono peli pubici e unghie tagliate di studentesse che si mantengono così, oppure prostituendosi. E si produce il porno di ogni genere e sottogenere nel rispetto della censura di Stato, ossia non mostrare mai i genitali (chi frequenta i siti porno lo sa).
Il giovane Alex, dovendosi arrabattare anche lui, collabora come cameramen con un regista di porno underground, e le istruzioni sono chiare. «Siamo in Giappone, e te lo devi ricordare sempre. E qui in Giappone, appena compare un millimetro di genitale, scatta il mosaico. È la legge. Lo sai cos’è il mosaico Alex? Sono quei quadratini che confondono l’immagine. I quadratini dei genitali. Ok, vedo che sai di che parlo. Appena c’è l’organo genitale, maschile o femminile, scatta il mosaico. Quindi Alex, e questo è importante, senno facciamo una schifezza inservibile, tu quando riprendi devi sempre immaginarti che c’è già il mosaico, capito?».
Io lo trovo sublime, il Giappone: è l’avanguardia delle perversioni, l’avanguardia della morbosità, l’avanguardia dell’acqua torbida, e però c’è il mosaico. Un mosaico che mantiene lo stesso Vattani nelle descrizioni sessuali, esplicite ma sfumate, giapponesi ma non noiose come le avrebbe scritte un Murakami o un pugliese. Non ho mai capito il perché del mosaico, non per il luogo comune che i giapponesi ce l’hanno piccolo (sebbene un giapponese superdotato sia inimmaginabile): piuttosto credo perché nascondere il genitale sia utile a mantenerne il mistero, in fondo non c’è nulla di più antierotico di una spiaggia di nudisti e niente di meno misterioso del sesso una volta svelato il mistero che non c’è. Alla fine resta il mistero che il più bel romanzo sul Giappone non l’ha scritto un giapponese ma un italiano, addirittura un console, e con tanto di spada.