Una raccolta dei testi “orientali” di Evola curata da Riccardo Rosati, per scoprire un’Italia che sapeva guardare all’Asia (da Barbadillo.it 22 settembre 2017).
Uno dei vantaggi del volgere lo sguardo verso l’Oriente, per scoprire quelle variegate culture, studiarne le lingue, o semplicemente distrarsi con i molteplici colori e sapori dell’Asia, è che quando girandosi in quella direzione ci si sente più liberi. Eppure questa visione nasconde un paradosso che non è semplice spiegare, perché la sua soluzione si trova a cavallo tra il ragionamento e l’intuizione, ed è quindi arduo darne una descrizione esatta. Infatti lo stesso concetto di liberazione – o di risveglio – che per molti di noi europei fa parte dell’immaginario orientale, quando si passa alla realtà della pratica assume le forme di una disciplina ferrea, di una severità che arriva a sfiorare la vessazione. E se non è così, se appare troppo semplice, allora non convince e diventa qualcosa che sa di fasullo, di non originale.
Dopo il primo contatto, iniziamo ad accorgerci che a Oriente, i due aspetti della libertà e della disciplina convivono, anzi definiscono il contesto, come lo fanno l’ombra e la luce, come la grande campana di bronzo di un tempio riesce paradossalmente ad amplificare il silenzio e le atmosfere rarefatte nel grande salone tappezzato di tatami. Generazioni di italiani si sono rivolti a Oriente, di volta in volta facendo i conti con le influenze di momenti storici differenti, sempre alla ricerca di una giusta armonia tra questi modi diversi di intendere la nostra vita terrena.
Oggi, da italiani, avere la fortuna di poter seguire le tracce lasciate da chi ci ha preceduto è una grande ricchezza, perché su quel cammino si trovano non solo notizie e informazioni raccolte da persone che hanno la stessa nostra provenienza linguistica e culturale, ma anche idee, opinioni, interpretazioni talvolta contrastanti, prese di posizione che hanno il profumo di un altro tempo, e tutto ciò contribuisce a farci ragionare non solo sull’Oriente – che teoricamente si trova alla conclusione di quella via – ma oltretutto pone dei segnali, degli indicatori lungo un cammino personale che non è altro che la nostra vita, dei veri e propri koan che ci aiutano a formulare la domanda-chiave “dove mi trovo io adesso, rispetto alla mia missione, rispetto al significato della mia personale esistenza, rispetto al mio destino?”, sperando di ottenere una qualche risposta.
Anche per questo è un lavoro prezioso quello realizzato da Riccardo Rosati, orientalista che vanta peraltro un approfondito percorso di studi presso l’Istituto Italiano per l’Africa e l’Oriente – ISIAO (ente che, sciaguratamente, si è pensato bene di liquidare). Rosati ha infatti curato la seconda edizione degli scritti sull’Oriente di un personaggio del calibro di Julius Evola (Julius Evola, “Zen”, a cura di Riccardo Rosati, I libri del Borghese, Quaderni di testi evoliani n.49, Editore Pagine, 2016), e grazie a lui la prima edizione del quaderno, risalente al 1981, è stata notevolmente ampliata – ben quindici testi rispetto ai soli tre della precedente, di cui molti dedicati al Giappone – e comprende inoltre due interessanti testi di Mussolini, sorprendenti per la loro attualità, a cui Evola si riferisce in alcuni suoi scritti: si tratta di un discorso pronunciato in occasione della seduta inaugurale del primo convegno studentesco asiatico nel 1933, e di un articolo del Popolo d’Italia risalente al 1934.
I testi “orientali” di Evola, sapientemente scelti e riordinati dal curatore, coprono un ampio periodo – dal 1927 al 1975 – e mostrano tutti, dal primo all’ultimo, l’abilità con cui Evola sa affrontare il tema dell’Oriente con spirito libero, evitando l’approccio erudito, e unendo invece alla conoscenza una profonda capacità intuitiva. Emerge da questa serie di lucidi interventi – il cui ritmo, vocabolario, energia, assumono forme diverse a seconda del periodo, dando alla figura di Evola una sorta di vivace tridimensionalità – l’analisi di un rapporto tra Occidente ed Oriente che è strettissimo, quasi intimo. Purché, e questo è uno dei fili che legano insieme tutte le pagine di questo ispirante lavoro, non si intenda per Occidente la sua forma moderna, frutto dell’illuminismo, del positivismo, del materialismo.
L’intera pubblicazione, con un saggio introduttivo dello stesso Rosati che affronta con chiarezza questi temi complessi quanto attuali, ci permette di scoprire non solo quanta ispirazione ha saputo trarre dall’osservazione dell’Oriente uno dei più poliedrici intellettuali italiani, ma ci svela nel contempo un’Italia diversa da quella che vediamo oggi intorno a noi: ci rendiamo conto che gli italiani furono capaci di approfondire il tema del rapporto Occidente-Oriente ai massimi livelli, e che avevano una nitida percezione delle trasformazioni in corso in una regione del mondo che oggi è diventata la grande protagonista dello sviluppo globale.