Ho appreso oggi con grande tristezza della morte di Fernando Regaldo, chitarrista della storica band romana SOS. Ci siamo conosciuti negli anni novanta, ma non sul palco o nelle livehouse di Roma. Ci siamo conosciuti alla Farnesina, perché eravamo tutti e due dipendenti della stessa amministrazione. Carriere diverse, e non solo quello. Io ero un funzionario diplomatico appena entrato, lui amministrativo. Io obbligato a portare giacca e cravatta, ma almeno con i capelli a zero, lui invece con i pantaloni anni ’80 alla Bruce Dickinson, e una lunga chioma da metallaro.
Fernando Regaldo era un rocker, e questo è importante. Io lo chiamo Regaldo, perché quando ci incrociavamo negli interminabili corridoi del secondo piano, ci davamo del lei. Al Ministero la forma è importante, come lo è l’accordatura in studio. Ci davamo del lei anche quando parlavamo di musica. Non avevamo esattamente gli stessi gusti musicali, ma ovviamente io conoscevo bene le band che lui apprezzava di più, e lui le mie. Io preferivo il rock più duro dei Motorhead, il punk degli Anti Nowhere League, e l’oi, e gli Sham 69. Lui era più metal, e così si scherzava sugli Iron Maiden, Judas Priest, sul glam rock, ma si concordava sempre sull’importanza di cantare in italiano. Regaldo suonava con gli SOS, una band molto solida, secondo me di ottimo livello. “Non rinnegheremo mai il fatto di cantare in italiano”, dichiarava Regaldo. E io certo, e forza, e dai.
In un certo senso gliela invidiavo – in modo amichevole – la libertà di poter rimanere se stesso in questo immenso palazzo, almeno nella sua immagine di chitarrista rock anni novanta. Ma quanto gliela avranno fatta penare, con il conformismo che regna al Ministero degli Affari Esteri. Non che lui mi abbia mai detto nulla del genere. Anzi, sempre sorridente, cortese, affabile.
Il nostro è un lavoro che ti porta all’estero, quindi è facile perdersi di vista. Ma Regaldo l’ho incontrato di nuovo proprio un anno fa, a Villa Madama. Ero con mia moglie a un ricevimento presieduto da Gentiloni, allora Ministro degli Esteri. All’improvviso Regaldo mi è venuto a salutare, non l’avevo visto in mezzo a tutta quella gente. Era passato tanto tempo, lui aveva i capelli un po’ più corti, e lo trovai ingrassato. Scoprii che adesso lavorava lì. Anzi ci abitava proprio, a Villa Madama. Per tutto il cocktail, invece di ascoltare i discorsi (non abbiamo perso niente: si era alla vigilia delle elezioni americane, e ogni oratore si prodigava in previsioni di una sicura vittoria della Clinton) siamo rimasti con mia moglie a parlare con Regaldo di musica e anche dei fantasmi di villa Madama, e lui giurava che ci sono.
Oggi, come si fa ormai in questi momenti così desolanti, sono andato per inerzia a cercare l’ultimo scambio di mail che avevo avuto con Regaldo. Gli avevo scritto per dirgli che i miei figli sapevano a memoria alcuni pezzi degli SOS, e li cantavano in macchina. Nella sua risposta, allegra come sempre, lui non ha perso l’occasione di dire una cosa che mi aveva ripetuto anche altre volte, e che in un certo senso è un distillato di questo suo essere un chitarrista al Ministero degli Esteri: “anche nel rock si fa cultura e si può rappresentare il nostro paese”. E’ vero, sono d’accordo. Non gliel’ho detto, perché non ci siamo più sentiti.
Ora, a parte alcuni album degli SOS, mi resta solo l’ultima riga del suo messaggio: “è così raro in questo ambiente incontrare musicisti e artisti che ti sappiano apprezzare veramente per ciò che sei … non smetta mai di suonare.”
Grazie Fernando. Rock on.
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PS: ho ricevuto e pubblico volentieri questo messaggio del Segretario Generale della Farnesina, Ambasciatore Elisabetta Belloni:
“Caro Mario, mi ha commosso leggere il ricordo di Fernando che ci hai regalato. Lo conoscevo bene anch’io: una familiarità nata da una giacca, quella arancione dell’Unità di Crisi, che gli regalai quasi per scherzo e che lui indossava con orgoglio. Lo faceva sentire parte della squadra. Indossavamo vestiti diversi, è vero: io il tailleur, lui i jeans. Ma in comune avevamo la giacca arancione della Farnesina, a cui lui tanto teneva. Grazie Mario, perché ci fai sentire ancora alta la musica di Fernando nei nostri corridoi. Elisabetta”