Ci ho messo un po’, ma nemmeno tanto, a imparare lo stile diplomatico.
Non parlo del vocabolario che si utilizza per le note verbali, e nemmeno di quello strano italiano che si leggeva fino a poco tempo fa nei telegrammi – oggi “messaggi” – zeppo di “a tale riguardo”, di “come anticipato” e di “mette conto menzionare”, che serve per sostenere una linea in un rapporto cifrato al Ministero, e scrivere l’esatto contrario nel seguente.
Mi riferisco invece a quel sistema di comunicazione informale, a quella serie di espressioni e di movimenti del corpo, di particolari occhiate e intonazioni che si utilizzano tra colleghi – anche stranieri – e che distinguono gli appartenenti alla carriera diplomatica, a volte definiti “un incrocio tra preti e militari”.
E’ quello lo stile diplomatico che ho dovuto imparare a decifrare, e che a volte mi diverte mentre altre volte mi piace poco. Per fortuna non è obbligatorio, quindi non tutti i miei colleghi lo utilizzano.
E’ lo stile per cui se si dice che un’idea è “ambiziosa”, significa che è assurda.
Dove se un collega è “sensibile”, vuol dire che è un cretino. Se invece è “prudente”, allora nella migliore delle ipotesi è un nullafacente, nella peggiore un codardo voltagabbana.
Insomma, lo stile diplomatico è quello dove per bloccare una proposta, la si definisce “coraggiosa”.
E’ lo stesso stile per cui è meglio non avere delle passioni, ma piuttosto degli hobby.
In cui si può suonare uno strumento musicale, ma meglio se è il pianoforte.
Per i più arditi, si autorizza il sassofono. Se si vuole evitare la musica classica, allora è ammesso il jazz, o al limite la canzone italiana. Meglio napoletana, però. Per chi sceglie la chitarra, il blues va bene, basta che però sia fatto con quegli accordi noiosetti – non con il dito medio, per capirci.
A chi sceglie di dipingere, si consigliano i panorami. Va bene anche qualche ritratto, ma evitiamo il nudo. Lo stesso vale per la fotografia, basta che sia intelligente.
In ogni modo, per i cultori di quello stile lì, è meglio evitare tutto questo, e limitarsi a conoscerle e commentarle, l’arte e la musica.
“In tale contesto” (per dirla sempre in stile) ricordo che molti anni fa – precisamente nel 1993 – partecipai con alcuni miei dipinti a una mostra organizzata a Palazzo Ruspoli, chiamata “Arte senza Frontiere”. Si trattava di una collettiva, alla quale parteciparono molti colleghi diplomatici, italiani e stranieri, e i cui proventi andarono all’Associazione “Insieme per la Pace”.
In realtà non me ne ricordavo affatto, ma nel mezzo delle pulizie pasquali ho appena trovato qui in una piccola pubblicazione una fotografia in bianco e nero nella quale si vedono alcune signore – tra le quali spicca la figlia dell’allora Presidente della Repubblica, Marianna Scalfaro – in piedi accanto a un dipinto un po’ strano. La didascalia conferma che si tratta di una “visita alla mostra Arte senza Frontiere”.
Non ho potuto trattenere un sorriso di nostalgia.
I quadri dei miei colleghi, alcuni anche molto belli, erano una serie di panorami o di figure realizzate per la maggior parte ad olio, alcuni con raffinatezza ed eleganza. Non mancava qualche opera astratta.
Io in quell’occasione mi presentai con tre dipinti in acrilico su tela.
Un “Autoritratto con carte urgenti” in cui un volto quasi meccanico con il cranio sezionato e sprizzante fulmini guarda nell’obiettivo, sullo sfondo di un corridoio ministeriale.
Poi c’era “Out!” con un signore in vestaglia che sfonda la porta della sua casa-sgabuzzino ed esce sul retro, scontrandosi con un bidone dell’immondizia da cui si vede uscire un calzino.
Infine “Uh Oh”, il pezzo forte, una grande tela verticale che ci fa arrivare dall’alto, forse in elicottero, guidati da un curioso personaggio in maschera a gas che sventola delle bandierine.
Ecco, è quello il dipinto accanto al quale hanno scelto di farsi fotografare le quattro signore.
Naturalmente nella didascalia non è indicato il nome del pittore.
Buona Pasqua.