di Ilaria Paoletti
La citazione posta da Mario Vattani all’incipit di Rika (Idrovolante edizioni, 2021) appartiene all’Hagakure: «Il coraggio e la vigliaccheria non sono argomenti da discutere in tempo di pace. Appartengono ad un’altra natura». Con lo scorrere delle pagine e addentrandosi nella narrazione, la ragione di questo sigillo posto all’ingresso della storia della giovane Rika acquista via via più senso. Rika chan è una ragazza di diciassette anni che vive a Tokyo, né bella né brutta, non particolarmente coraggiosa o intelligente: un’adolescente assolutamente banale. Figlia malinconica di una famiglia divisa, con una madre invadente e dura, e un padre ormai fantasma, ama passare il tempo sul suo vecchio motorino, a volteggiare come un gabbiano stanco nel parcheggio del più vicino centro commerciale. Rika si diverte a girare per bar con la sua migliore amica, giocando a fare le hostess, cercando allo stesso tempo di evitare le invadenti e morbose attenzioni degli anziani ojisan ma anche dei coetanei nei confronti dei loro corpi adolescenti.
Gioventù annoiata
Non sembra affatto eccitata alla prospettiva di trascorrere le sue vacanze in Italia, a Roma. Già, perché Vattani torna sul luogo dei frequenti «delitti», ovvero il Giappone già protagonista di Doromizu e de La via del Sol Levante, scegliendo di partire da un episodio di cronaca realmente accaduto nel 2011 a una turista giapponese, per portarci a Roma e, da qui, costruire un originalissimo, crudo ma indimenticabile romanzo di formazione. Vattani ci introduce nella vita della giovane Rika addensando le pagine di particolari con un manierismo quasi proustiano, tanto che, per qualche capitolo (sempre che ci si approcci al libro senza aver letto recensioni o interviste all’autore), si viene animati dalla insistente curiosità di sapere dove voglia andare a parare.
Rika ci si palesa davanti per la prima volta, pallida e annoiata, in un love hotel di Tokyo dove subisce le avances un po’ goffe e comiche di un ragazzo della sua età. Abbiamo davanti una teenager che della sua sessualità – o anche di sé stessa — sembra capire poco e niente, e pare anche non esserne particolarmente interessata. Sa solo che ciò che le accade non la eccita e, come molte giovani della sua età, si aspetta perennemente qualcosa di meglio. D’altronde, non pare soddisfatta della sua vita in generale, presa tutta nel suo spleen adolescenziale. La madre di Rika non è affatto una chioccia ed è molto dura nei suoi confronti: «Quando vuole riesce ad arrotare le parole come si faceva nella guerra con le lance di bambù, e a infilartele all’improvviso dove ti fanno più male». Ha una sorella minore «perfetta», studiosa e sportiva, la preferita dell’unica genitrice. Il padre se n’è andato quando la protagonista era solo una bimba, lasciando dietro di sé smarrimento, silenzio e rancori ingombranti. Quando a Tokyo si imbuca in una festa di gaijin (stranieri, in questo caso europei) viene «usata», nonostante le sue sbigottite proteste, da un ricco e arrogante italiano. La ragazza non sembra così turbata dall’episodio quanto ci aspetteremmo, incontrovertibilmente influenzati come siamo da questo clima in cui ogni gesto che non sia esplicitamente preceduto dal consenso diventa un abuso.
Da Tokyo a Roma
Con pochi tratti, Vattani è capace di farci capire cosa significhi essere giovani donne, ancora un po’ bambine, ancora molto ingenue e severe giudici di loro stesse prima che degli altri. I maschi, d’altronde, nel romanzo emergono come figure grette, vigliacche, avide di corpi e di attenzioni. Quando si staccano dallo sfondo fumoso al quale sono relegati, vi riescono solo a causa dei danni che compiono: il libro è tutto delle donne, anche se sono principalmente gli uomini a doverne trarre qualche lezione. Quando la madre di Rika la trascina a Roma, tutti gli psicodrammi sopiti della famiglia sono destinati a esplodere. Roma non è quel paradiso scintillante, quel coacervo di sfavillanti cliché che spesso viene dipinto nelle opere in cui è lo straniero ad essere la voce narrante. Vattani non ha alcuna volontà di piaggeria nei confronti della Capitale, che appare invece sporca, confusionaria e spesso imperscrutabile agli occhi di una giapponese. «Roma è diversa da come la conosciamo perché è vista da occhi diversi, una capitale dalla bellezza sfatta, distante», ha detto Vattani ad Adnkronos parlando del libro. Quando l’acerba Rika, che grazie ad una partita di Digimon scopriamo avere il nome mutuato da una dea giapponese che ha partorito nelle fiamme e che, «quando perde la pazienza scatena eruzioni e terremoti», si allontana dalla famiglia e si perde a Roma dopo l’ennesimo scontro con la inclemente mamma nipponica, prende la sua prima, vera decisione: quella di riprendere i contatti col padre scomparso.
Ma la sua storia così tenera, così esitante, forse anche banale, viene spazzata via una sera a Trastevere, inghiottita da un evento senza pari. Quando la giovane giapponese viene approcciata da un venditore di gadget indiano, come tante adolescenti, per non dire di no dice di sì, lasciandosi trascinare in una folle discesa agli inferi. Ma quello che poteva trasformarsi nell’ennesimo, scontato e patetico romanzetto sulla resilienza delle donne di fronte alla violenza subita (una specialità dei narratori uomini) si lancia a precipizio in una esplosione di orgoglio, di combattività, di autentico splendore giovanile: Rika, come la dea giapponese che le ha dato il nome, rifiuta di essere vittima. E non perché odia gli uomini, non perché è un’eroina femminista. Non ci sono sottotesti riconducibili alla guerra tra i sessi nel romanzo di Vattani: Rika dice no alla violenza sessuale e combatte come un’Erinne o trasfigurandosi in una vendicativa dea del Pantheon giapponese semplicemente perché l’abuso va contro la sua volontà.
Nessun vittimismo femminista
Rika quella sera dice no. E non ci sorprende che il neo-ambasciatore a Singapore abbia voluto dedicare questo libro, che definisce il suo «addio» (o forse arrivederci) alla letteratura, a sua figlia adolescente. In questo periodo storico essere vittime sembra essere un ruolo molto ricercato, molto à la page, perché mette tutti virtualmente in una posizione di inattaccabilità, specialmente quando si parla di donne: ecco perché questa opera è più che mai importante. Rika è un breve, intenso e prezioso libro che non si allinea a questa cultura del piagnisteo, è una storia che parla di pura e semplice volontà, quella roccia adamantina che deve essere superata prima che si giunga a qualsiasi prevaricazione. Rika ci dimostra che la volontà è una qualità dello spirito che rimane dopo i cocci di bottiglia, i graffi, il sangue e i letti d’ospedale. Che la paura cieca genera adrenalina e, a volte, questa scarica genera cieca voglia di reagire e difendere il proprio orgoglio ferito non solo per mera sopravvivenza.
Parlando della vera Rika, incontrata durante il lavoro da diplomatico a Roma, Vattani dice: «Il suo coraggio, la sua determinazione, l’essere pronta a tutto pur di non arrendersi mi sembrò un esempio. Per tutti, non solo per le donne. Questa storia dimostra che dovunque ci si trovi, sia pure nella solitudine più assoluta, l’individuo riesce con la propria personalità, con il proprio coraggio, non solo a salvarsi, ma a trasformarsi in qualcosa di migliore. Il coraggio totale di questa ragazzina, anche davanti alla morte, la capacità di ricordarsi di essersi promessi qualcosa, è un potentissimo strumento di difesa contro un mondo falso e cinico, pieno di messaggi fasulli che mirano solo a usare i giovani per avere like, essere seguiti, guadagnare». Vanno per la maggiore le Storie della buonanotte per bambine ribelli che altro non sono se non un lungo elenco di personaggi che hanno poco a che fare con la ribellione e molto con l’omologazione. Rika non è un libro per dire buonanotte, forse non è neanche un libro da bambine, ma è certamente un libro che parla di una donna realmente e schiettamente ribelle che merita un posto di privilegio nella libreria di ogni giovane donna.
La lettura
Rika (Idrovolante; pp. 250, € 18) è l’ultimo romanzo di Mario Vattani. con protagonista una diciassettenne di Tokyo e la sua terribile avventura in Italia, a Roma. Il racconto è basato su un episodio di cronaca realmente accaduto nella Capitale nel 2011 ad una giovanissima turista giapponese. Scopriamo Rika nella sua periferia di Tokyo, poi la seguiamo durante il suo viaggio, e presto ci troviamo a decifrare il suo modo di vedere l’Italia, Roma, gli italiani. E alla fine, gli occhi di questa ragazza così lontana da noi diventano uno specchio implacabile in cui improvvisamente ci riconosciamo, spogliati da ogni presunzione di cultura, civiltà o superiorità, presi dalle nostre ossessioni, dalle nostre debolezze, senza scuse di fronte al valore tagliente e spietato del coraggio.
(recensione di Ilaria Paoletti – PN)